Riflessioni di Massimo Ferrari, Presidente Assoutenti/Utp, sul progetto di raddoppio della ferrovia nel Ponente ligure.
Passo qualche giorno ad Alassio. La cittadina ligure, anche d’inverno, è molto elegante. Un prestigioso negozio, specializzato in poster della Bella Epoque, esibisce in vetrina un manifesto dell’Orient Express a prezzi da capogiro. Anche la stazione ferroviaria – di pregevole architettura, una delle migliori in Italia, seconda forse solo a Taormina – è abbastanza curata, con ben due sportelli aperti in biglietteria. Cosa ormai rara nei centri minori.
Già, ma per quanto tempo ancora? Il progetto di raddoppio della ferrovia nel Ponente ligure prevede lo spostamento a monte di tutto il tracciato ancora a singolo binario tra Andora e Finale. Ad Albenga la stazione finirà ad alcuni chilometri nell’entroterra. Ad Alassio si avvicinerà maggiormente al centro abitato, ma comunque in posizione diversa dall’attuale. I tempi (per fortuna?) non sembrano brevi, tant’è che nei giorni scorsi è stata decisa la riqualificazione dell’attuale fabbricato viaggiatori ad Albenga, di classica impronta littoria.
Da Andora in avanti, invece, il raddoppio è già operativo. A Sanremo, dall’ormai lontano 2001, la stazione è in galleria profonda. Per uscire all’aperto, quanto meno in una zona sub centrale, bisogna percorrere non meno di 500 metri e non sempre i lunghi tapis roulant sono in funzione. Ma a fine 2016 è stato aperto un nuovo segmento che taglia fuori alcuni centri minori, come Riva Ligure e San Bartolomeo, e si allontana sensibilmente da altri. Ad Imperia la distanza a piedi dall’agglomerato di Oneglia è ancora accettabile; improponibile, invece, da Porto Maurizio.
A Diano Marina il nuovo fabbricato è ubicato ad oltre tre chilometri dalla costa, a metà strada verso Diano Castello. E – non senza una apprezzabile correttezza etimologica – la muova stazione adesso si chiama semplicemente Diano. C’è un bus di collegamento, ma la conduttrice del RV Ventimiglia- Torino (che, a dispetto della classificazione, sosta dappertutto) mi conferma che la frequentazione dell’impianto ha subito un vistoso calo.
In Liguria, a fine Ottocento, la ferrovia fu scavata nella roccia a ridosso dei centri abitati, talvolta, come a Sanremo, separandoli vistosamente dal lungomare. Eppure, venne accolta festosamente dagli abitanti, visto che – come ricorda una lapide murata nella stazione di Rapallo – poneva fine ad un secolare isolamento. Nonostante il binario unico ed i raggi di curvatura decisamente sacrificati, il treno non aveva rivali finché doveva misurarsi con la vecchia statale Aurelia. Poi le cose cambiarono radicalmente quando, nei primi anni Settanta, fu completata l’Autostrada dei Fiori.
A Levante le due modalità di trasporto hanno continuato a misurarsi su basi quasi paritarie. La ferrovia è stata completamente raddoppiata lungo il percorso originario. Il tracciato tortuoso non consente velocità sostenute, ma in compenso è possibile scendere dal treno nel cuore delle borgate.
L’autostrada corre molto all’interno, ignorando le Cinque Terre, e non è stata completata in Maremma, tra Cecina e Civitavecchia. Per cui il viaggio Genova-Roma non è particolarmente veloce, né in treno, né in auto. I più preferiscono passare per Firenze o prendere l’aereo.
Sul Ponente, invece, complice anche l’inversione di marcia a Genova, con conseguenti soste (inutilmente) prolungate, la partita sulle lunghe distanze è segnata a sfavore della rotaia. Da Milano a Nizza (350 km scarsi) il treno si prende 4 ore e mezza, più di quanto ne occorre per spostarsi da Nizza a Parigi, che dalla Costa Azzurra dista quasi mille chilometri. In auto dalla Madonnina alla Promenade des Anglais bastano 3 ore e mezza, senza neppure spingere sull’acceleratore.
Il raddoppio del binario, perciò, si imponeva. Ma, quando sarà completato, con oltre mezzo secolo di ritardo, non è detto che riuscirà a ristabilire un equilibrio accettabile. Specie se non si avrà il coraggio di bypassare Genova, separando i flussi provenienti da Milano da quelli originati nel capoluogo ligure. Il Terzo Valico, attestato a Voltri, dovrebbe servire anche a questo, ma per ora se ne parla solo nell’ottica del traffico merci.
Se sono ormai lontani gli anni del vagone letto Roma-Montecarlo-Nizza o del TEE Ligure di sola prima classe che viaggiava tra Avignone e Milano – bei tempi ricordati, a beneficio degli attempati nostalgici, dai manifesti esposti nelle vetrine di Alassio – la ferrovia del Ponente ligure era diventata una specie di metropolitana per i pendolari diretti a Genova e Savona ed anche per molti anziani villeggianti che svernano in Riviera. Ancora adesso il trasporto pubblico sulla costa è molto utilizzato non solo dagli studenti pure nei fine settimana. Treni e bus sono abbastanza frequenti, non troppo vandalizzati e non è difficile acquistare i biglietti (sui bus anche a bordo, ma a prezzo maggiorato).
Tuttavia, spostando progressivamente le stazioni lontano dalla costa, anche questa funzione rischia di ridimensionarsi. Ve lo immaginate un pendolare o un turista che viaggia da Diano ad Albenga, dovendo raggiungere una fermata distante tre chilometri dal punto di origine ed arrivare in una stazione locata ad otto chilometri dalla destinazione finale? Anche se sono previsti parcheggi di corrispondenza e bus navetta, è ben chiaro che l’opzione treno sarà scartata dai più.
I progettisti ragionano come se la ferrovia sia un’autostrada, ma il confronto non regge, perché, usciti dal casello, l’auto non impone rotture di continuità, mentre col mezzo pubblico si devono affrontare dei cambi di vettore, ammortizzabili se ci si sposta con l’Alta Velocità o in aereo tra città molto lontane, non tra centri che distano al massimo qualche decina di chilometri tra loro.
Il rompicapo avrebbe potuto trovare un compromesso accettabile se si fosse mantenuta in esercizio la vecchia linea su cui istradare i treni locali. Ma questa è una soluzione che giusto gli svizzeri osano proporre (per esempio sulla linea di valico del Gottardo, preservata ad uso vicinale e turistico anche dopo l’apertura della galleria di base). I vecchi sindaci liguri, invece, non vedevano l’ora di sbarazzarsi della ferrovia per “ricomporre la frattura tra i centri storici e il lungomare” (e, qualche volta, per meno nobili progetti immobiliari).
Dal momento che i tempi lunghi dei lavori di raddoppio hanno finito con l’oltrepassare l’epoca d’oro della speculazione edilizia, i nuovi amministratori locali si sono riconvertiti – magari “obtorto collo” – ad un uso più ecologico e politicamente corretto dei vecchi sedimi. A Sanremo, ad esempio, la vecchia linea è stata riconvertita in pista ciclabile (conservando in buono stato i fabbricati di stazione), anche se si è persa l’occasione di riqualificare il servizio filoviario interurbano, che il comune vorrebbe eliminare, nonostante il parere contrario della Regione Liguria.
Nel futuro della Liguria i treni locali saranno utilizzati prevalentemente dai ciclisti che alterneranno salutari pedalate a tratte su rotaia nelle frazioni più lunghe o impervie, come avviene con successo in Val Venosta? Lo speriamo vivamente, anche se l’età media e le abitudini culturali dei frequentatori della Riviera sono ben diverse dalla giovane clientela mitteleuropea che predilige l’Alto Adige.