La diritta via dell’Acquedotto Pugliese non è smarrita

La diritta via dell’Acquedotto Pugliese non è smarrita

1024 494 Redazione

Una valutazione di Cosimo Chiffi, del Coordinamento dal Basso della Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, promotore di AMODO, sulle conclusioni del tavolo tecnico ministeriale al progetto, che impongono un cambio di rotta nella visione e nella gestione dell’infrastruttura. Quello che serve è un progetto unico per aprire i cantieri della più grande via verde del Sud.

Il Ministero per le Infrastrutture e la Mobilità Sostenibili (MIMS) ha concluso il complesso iter di valutazione dei progetti di fattibilità della Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, la prima del Sud a rientrare nel sistema di ciclovie turistiche nazionali concepito per attrarre una quota consistente e in costante crescita del cicloturismo nazionale e internazionale.

La mancanza di regia globale, di visione unitaria e l’assenza di identità sono gli elementi più importanti rimarcati nell’ambito del tavolo tecnico operativo al quale partecipano anche il MIBACT, le Regioni Puglia, Basilicata e Campania, Acquedotto Pugliese SpA, RFI, FIAB e Legambiente. Un paradosso per un itinerario con un’identità invece molto forte e chiara ma diretta conseguenza della scelta di non sviluppare un unico progetto di fattibilità tecnico-economica (ne sono stati redatti ben quattro in tempi e modi diversi). Bisognerà recuperare nelle successive fasi di progettazione per scongiurare il rischio di una realizzazione frammentata e disomogenea.

Un po’ insolita questa ciclovia rispetto a molte altre. Parte dalle sorgenti di Caposele, in Alta Irpinia, e attraversa solo luoghi dell’Italia interna: il Vulture Melfese, l’Alta Murgia, la Valle d’Itria, l’Arneo e l’entroterra del Salento per poi giungere nel finisterrae di Santa Maria di Leuca. Qui si è al cospetto di una cascata monumentale che guarda il Mediterraneo e che celebra una delle opere di ingegneria idraulica più ardite del mondo, l’Acquedotto Pugliese. La ciclovia è il viaggio iconico in bicicletta di 500 km che si compie letteralmente sulla condotta storica, il Canale Principale, realizzata tra il 1906 e il 1939, pedalando sulla pista di servizio e sui ponti canale, incrociando impianti di sollevamento, fontanine, serbatoi pensili, edifici di ispezione, targhe segna-chilometro. Una ciclovia d’epoca, nascosta, incastonata nella natura, già oggi per la gran parte percorribile in bici e a piedi e di cui si discute ormai da oltre 20 anni.

Viene riconosciuta una doppia connotazione della ciclovia. Lungo il tratto campano, lucano e il primissimo tratto pugliese fino a Castel del Monte, li dove la condotta viaggia in buona parte in galleria, si dovrà gioco forza accettare qualche tratto in promiscuo su strade a basso traffico e dei tratti in pendenza più lunghi. Dalla fortezza di Federico II fino alla vista del mare il profilo altimetrico ha evidenziato pendenze praticamente nulle e qui entra in gioco la pista di servizio esistente fino alla centrale idroelettrica Battaglia di Villa Castelli (BR) e, in futuro, i tratti da realizzare sulla sommità del manufatto acquedottistico (bauletto) per garantire una ciclovia il più possibile in sede riservata.

Il Ministero prescrive di garantire il carattere identitario della ciclovia, legato alla storia dell’acquedotto e che dovrà quindi seguire il più possibile le emergenze di archeologia industriale dell’opera. Verrà garantito il passaggio dai ponti canale che attraversano il bosco di Bucito in Basilicata, definita “tratta di particolare pregio”, che erano stati esclusi dall’asse principale.

Anche se gli edifici che compongono il patrimonio architettonico di acquedotto dovranno essere recuperati attraverso altre risorse, si potranno invece restaurare tutti i ponti canale, inclusi i parapetti storicizzati con la raccomandazione di evitare lo smantellamento della pavimentazione storica e la perdita di identità storico-paesaggistica della pista di servizio. Questo elemento, più volte rimarcato dal Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, che attraverso Legambiente ha fatto pervenire proprie osservazioni, è oggi ufficialmente garanzia di un approccio nuovo di tutela più che di rifacimento totale dell’esistente.

Se da un lato non si possono utilizzare leganti chimici visto che appena sotto scorre preziosa acqua potabile, è il fascino autentico che regala la pista ad essere stato salvaguardato. In oltre 100 anni non si è solo compattato per sempre il terreno, ma si è creata quella commistione tra natura, paesaggio e opera dell’uomo che ha bisogno essenzialmente di un progetto intelligente di restauro e fruizione che metta al lavoro diverse competenze e sensibilità.

Occorrerà consegnare già nella fase di progettazione definitiva un piano di gestione e manutenzione unitamente all’individuazione del soggetto gestore che si caldeggia sia unico e che potrebbe essere Acquedotto Pugliese SpA, una delle utilities più importanti a livello nazionale con competenze ed un’organizzazione adeguata a garantire la tutela e la fruizione del suo stesso patrimonio.

Il lavoro portato avanti dal MIMS dimostra sostanzialmente la capacità e la volontà delle strutture centrali dello Stato di voler fare le cose per bene senza peraltro bloccare la prosecuzione del progetto: fatte salve le prescrizioni di cui si è detto, i primi lotti funzionali potranno a questo punto essere realizzati. Quella che qualsiasi osservatore esterno riconoscerebbe come “la diritta via dell’Acquedotto Pugliese” non sembra dunque essersi smarrita in questa prima importante fase di lavoro.

In questi lunghi mesi difficili si parla spesso di ripartenza. Anche questo progetto dovrà in qualche modo ripartire su basi nuove provando a recuperare la visione originaria di un’opera che potrebbe realmente segnare la rinascita di molte aree interne del Mezzogiorno approfittando del momento magico, ormai irreversibile nonostante la pandemia, che sta vivendo il turismo slow e in particolare il cicloturismo a livello mondiale.

Ma a questo punto non si può più sbagliare e la prima cosa da fare è ottenere dalle Regioni Campania, Basilicata e Puglia l’impegno che la progettazione definitiva ed esecutiva sia unica e non spezzettata, con un solo gruppo di progettazione a dare carattere, identità e qualità all’intero tracciato. Occorre anche rimettere al centro le tante associazioni e imprese locali che tanto hanno contribuito all’inserimento di questo itinerario culturale nel sistema nazionale delle ciclovie e che da anni ormai si battono per la fruizione escursionistica dei tratti di pista già in sicurezza.

L’Alleanza per la Mobilità Dolce, a partire dal Coordinamento dal Basso e da Legambiente, continueranno a seguire l’evoluzione del progetto e ad animare il dibattito pubblico intorno alla sua realizzazione.

Per saperne di più vai al sito del Coordinamento dal Basso http://www.aqp.bike/

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