di Massimo Ferrari (Presidente Assoutenti/Utp).
Scendo nel Salento assieme ad un amico. L’obiettivo è monitorare le Ferrovie del Sud Est, la più vasta rete italiana dopo Fs, con oltre 400 chilometri di sviluppo, che si estende su quattro province pugliesi e tocca tre capoluoghi. Un’azienda sopravvissuta ad una gestione molto discussa di cui si sta occupando la Magistratura. E più recentemente alle balzane misure di sicurezza susseguenti l’incidente di Corato dell’estate 2016.
Si parte da Milano con l’intercity notte delle 20.50, a sua volta resuscitato dopo che, qualche anno addietro, tutte le relazioni notturne dalla Puglia verso il Nord erano state limitate a Bologna, costringendo i malcapitati passeggeri a trasbordare di buon mattino sui Frecciarossa, con viva soddisfazione dei gestori dei bus a lungo percorso. Carenza di clientela? Macché: il vagone letto è pieno e viene distribuito persino un decoroso kit con articoli da toeletta la sera e uno per la colazione prima dell’arrivo. Senza caffè – non esageriamo – ma con un quotidiano omaggio.
Benché preparato alla stazione Centrale di Milano all’ultimo minuto, con conseguente ritardo alla partenza, il treno arriva a Lecce alle 8.30, in perfetto orario. Al punto di consentirci di prendere la corsa delle Sud Est delle 8.38, una coincidenza su cui nessuno avrebbe potuto ragionevolmente scommettere, dopo mille km di viaggio ed anche col tempo per fare il biglietto in tabaccheria.
Uno scrupolo per altro superfluo dal momento che presto ci rendiamo conto di come la controlleria a bordo sia di fatto inesistente. Non perché le automotrici circolino, come nel resto d’Europa, sulla fiducia, ma perché l’ANSF ha prescritto il doppio agente in cabina e le FSE si sono dovute adeguare, disponendo che il capotreno faccia compagnia al macchinista, tralasciando così la verifica dei documenti di viaggio.
Le vecchie littorine 668, acquisite a suo tempo dalle Ferrovie dello Stato, che le avevano dismesse dalle proprie linee secondarie, viaggiano in composizione doppia fino a Zollino, dove prima si sgancia l’automotrice per Gallipoli, poi l’altra prosegue per Gagliano del Capo. Una misura razionale, altrove scomparsa, e per ora scampata alle imposizioni regolamentari.
A Maglie si cambia per Otranto, unica stazione di testa della rete. La stagione turistica non è ancora cominciata, ma davanti all’edificio staziona un simpatico triciclo a motore che offre il servizio taxi: 10 euro fino in centro, 20 per un giro turistico del borgo con il gentile autista che fa da appassionato cicerone. Evidentemente la crisi ha finalmente convinto qualcuno a inventarsi un mestiere, senza lamentarsi in attesa di qualche provvidenza.
Dopo pranzo si prosegue per Gagliano del Capo, la stazione più meridionale del Salento a pochi chilometri dalla chiesetta di Santa Maria di Leuca, punta estrema della Puglia. Qui niente taxi, ma uno stallo di bici a nolo fiammante e desolatamente vuoto (stessa visione a Lecce). Non è che le bici vadano a ruba. Semplicemente – ci spiega il capostazione – la ditta che ha vinto l’appalto non ha poi consegnato i mezzi, per un contenzioso evidentemente subentrato.
Meglio, allora, proseguire lungo l’altra linea che risale all’interno della costa jonica verso Lecce, via Nardò e Novoli. A Casarano, dopo una ventina di minuti, c’è una coincidenza per Gallipoli. La frequentazione è decisamente scarsa: qualche studente, alcuni immigrati di colore ed anche rari turisti britannici.
Nonostante ciò la vasta rete del Sud Est è una delle poche in Italia a non aver mai conosciuto tagli alle tratte minori. E per fortuna, visto che avrebbe buone potenzialità di sviluppo. Serve molti centri di dimensioni consistenti con le stazioni quasi sempre ben ubicate (cosa non scontata nel Mezzogiorno). I tracciati sono abbastanza rettilinei ed il binario è generalmente in buone condizioni, armato con traversine di cemento.
Tutto questo lascia del tutto indifferente l’ANSF che, in attesa dell’adozione del SCMT, impone la ridicola velocità di 50 km orari a mezzi, seppur vetusti, che potrebbero circolare tranquillamente ad almeno 90. Noi non abbiamo fretta, ma per i potenziali utenti il contraccolpo è stato disastroso.
La mattina seguente torniamo da Gallipoli a Lecce: nel 2012 i treni più veloci impiegavano 50 minuti per coprire i 53 km che separano le due località. Oggi bisogna mettere in conto qualcosa come un’ora e quaranta! In pratica i tempi sono raddoppiati. Un ferroviere ci dice che il figlio liceale ha dovuto rinunciare al treno per non perdere l’anno scolastico. Ora alcuni genitori si sono associati per pagare corse di minibus privati.
Qui lo Stato italiano da il peggio di sé: sovvenziona (pesantemente) e continua ad investire (non poco) per migliorare un servizio ferroviario che altre sue (assurde) disposizioni rendono inefficace, costringendo i cittadini ad autotassarsi per sopperire alle carenze. Le amiche cinesi commenterebbero ridacchiando: “ta sapi”, ossia “molto stupido”. E non si potrebbe dar loro torto.
Lecce è piena di turisti. Il meraviglioso centro barocco pullula di bed and breakfast, ma naturalmente alla stazione manca il deposito bagagli, come pure le cassette di consegna automatica (proibite da mezzo secolo in Italia per le solite ragioni di (presunta) sicurezza. Sopperisce un negozio gestito da extracomunitari in una via laterale (naturalmente bisognerebbe conoscerlo!) che offre il servizio per un paio di euro.
Davanti al fabbricato viaggiatori staziona uno dei famosi filobus voluti dalla giunta Poli Bortone e che l’attuale sindaco vorrebbe eliminare per inquinamento estetico (sic!). In realtà i mezzi circolano – a frequenze molto diradate – fuori dal centro storico, dove semmai la palificazione costituisce un elemento architettonico quasi elegante. Dove c’è, perché per quasi metà della circonvallazione la linea aerea non è stata posata e i filobus devono procedere in marcia autonoma.
Nel pomeriggio raggiungiamo Martina Franca: due ore e mezza di viaggio per 103 chilometri, ma finalmente il paesaggio delle Murge è più ondulato e la bassa velocità diventa persino piacevole. Il centro di Martina Franca è una splendida sorpresa. Stradine tortuose tra edifici bianchi, una fresca collina da cui si dice che si possano vedere all’orizzonte sia l’Adriatico che lo Jonio. Pare, però, che si tratti di una leggenda metropolitana.
Il terzo giorno si scende verso Bari e la frequentazione dei convogli diventa finalmente più intensa. Qui circolano quasi esclusivamente i Pesa polacchi articolati a tre casse. E sono autorizzati a spingersi a 70 km/h! Ci sono 36 composizioni diesel in servizio, in attesa che vengano consegnate le versioni elettriche. La linea di contatto è già stata posata, ma i ferrovieri sostengono che dovrà essere completamente revisionata non appena le elettromotrici saranno finalmente disponibili. Come al solito i tempi degli interventi pubblici – complici i finanziamenti a singhiozzo e la tempistica delle gare – non sono sincronizzati e ciò determina ulteriori costi e tempi biblici.
Sosta ad Alberobello, gremita di turisti. Qualcuno è arrivato in treno, ma sono quasi esclusivamente nordeuropei, spagnoli, persino un paio di orientali. Gli italiani si muovono in comitiva, con bus a noleggio e, naturalmente, in auto. Anche perché, come su altre reti secondarie, i treni non circolano di domenica.
E’ un provvedimento che risale alla fine degli anni Novanta per razionalizzare i turni del personale. Che, nonostante sensibili riduzioni, resta alquanto pletorico: 1.400 dipendenti contro i 2.000 circa di Ferrovie Nord Milano che soddisfa volumi di traffico incomparabilmente maggiori. E funziona anche nei festivi. Adesso, dopo l’acquisizione da parte del gruppo Fs, sulle Sud Est attendono gli esiti della cura Mazzoncini. Per ora sono arrivate solo le divise nuove con relativo logo.
Alla stazione Centrale di Bari – come anche a Lecce, del resto – si vedono finalmente i risultati degli investimenti del grande vettore nazionale che, con tutte le sue pecche, sembra una delle poche realtà pubbliche che innova, assume, contribuisce alla trasformazione delle città. Quelle grandi, perlomeno. Le Frecce Bianche si susseguono con buone frequenze lungo la dorsale adriatica e spesso l’altoparlante di bordo può annunciare con un velo di fierezza: <<Siamo in arrivo in orario>>, o addirittura <<in anticipo a…>>.
Ma a Lesina, al margine settentrionale della Puglia, ci si ferma per un quarto d’ora nel nulla. La voce della conduttrice, scusandosi, imputa il disguido ad un non meglio precisato “guasto ad un passaggio a livello”, ingenerando qualche apprensione. Probabilmente, però, è solo una pietosa bugia, per coprire non le carenze manutentive dell’azienda, bensì le responsabilità politiche della politica molisana che da anni ritarda il raddoppio degli ultimi 20 chilometri della tratta, imponendo incroci e precedenze. A Milano, comunque, arriveremo in perfetto orario.
Seppur a bassa velocità, bisogna riconoscere come il circuito turistico sui binari salentini è perfettamente riuscito, a dispetto dei gufi che ci avevano pronosticato una sequela di cancellazioni (da noi si trova sempre un buon motivo per scartare l’opzione treno) Ma, in questo panorama di luci (poche) e di ombre (tante) tornano alla mente le parole lucidamente spietate del generale De Gaulle quando diceva: <<L’Italia non è un Paese povero, ma è un povero Paese>>.